Installazione ‘site specific’ – MART (Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto)
40 tele disegnate a penna a sfera verde, lampada a stelo,“corpi” in ceramica, poltroncina con “corpo” in resina, sgabellino, cotone cablé, seta, ecopelle, fili di ferro rivestiti, tavolino con proiezione video.
40 canvas drawned with green ink, floor lamp, ceramic “bodies”, armchair with resin “bodies”, stool, cablé cotton, silk, ecoskin, covered iron wires, small table with video projection.
h 250 x 500 x 550 cm – (2010) Courtesy VAF Stiftung – MART Rovereto
Tutta la mia opera, dagli esordi fino ad oggi, ha sempre avuto a che fare con la natura.
Un confronto, diretto o indiretto, con essa, ha sempre attraversato il mio modo di pensare e conseguentemente di fare arte.
Se dovessi esser costretta a riassumere in una sola parola questa mia forma di ossessione, indicherei questa: metamorfosi.
Come scrive Goethe: «La natura non ha sistema, essa ha vita, essa è vita e successione da un centro ignoto verso un confine non conoscibile».
La natura come sprigionamento di forze, come tensione verso la trasformazione, come sgretolamento delle gabbie che circondano l’io.
Ma essa è anche riflesso autobiografico, specchio puntuale delle cronache della nostra esistenza: è il dolore per la perdita, per lo svanire, ma al contempo è gioia per il suo nuovamente ricomporsi in un nuovo flusso, in un nuovo equilibrio.
Mi attrae anche lo stato di continuo smarrimento nel rapportarsi ad essa.
L’analisi dei suoi fenomeni risulta sempre imperfetta e mi spinge ad un vagabondare erratico.
Rende le certezze di pasta più friabile ed invita il pensiero allo spostamento. In fondo, la radice della parola ‘emozione’ si associa al trasloco, alla migrazione….
Quante volte avete desiderato perdervi durante un viaggio per scoprire percorsi alternativi che non necessariamente vi portassero a destinazione?
The world is still bound with secret knots.
Il mondo è tenuto insieme da forze segrete, da una totalità dinamica che mi fa immaginare una strana stanza in cui gli oggetti sono catturati da moti invisibili come nell’eterno divenire delle forze naturali.
Una strana vegetazione è cresciuta su di essi, objets trouvés che hanno conosciuto l’affettività di una casa.
Essa è il frutto di uno dei possibili percorsi che una natura immaginaria possa intraprendere nell’appropriamento di ciò che viene ad essa consegnato.
Tali ramificazioni, tuttavia, non hanno un carattere puramente ornamentale; modificano i contorni dell’oggetto, le spigolosità funzionali e simmetriche del manufatto umano così come la natura, ancora, addolcisce la razionalità.
Il verde di questa nuova vegetazione esprime una rigogliosità prorompente, un istante di rinascita colto in un momento d’espansione ed enfatizzato dalla sofficità del bianco che vi è tutt’intorno.
Neppure l’inverno ha saputo opporvisi? Potrebbe notare qualcuno.
L’ambiente si completa con una sorta di fondale. Anch’esso fintamente ornamentale (una sorta di paravento decorato), si compone di una serie di tele su cui è stato tracciato un disegno a penna.
Un trittico, le cui linee hanno seguito percorsi erratici e ubbidito ad una complessità che potremmo definire imprevedibilmente essenziale.
Nessuna mediazione di schizzi o disegni preparatori, ed ogni trasformazione dipende dall’evoluzione dell’insieme.
Come si sarebbe comportata l’acqua?
Questa è stata la regola, l’unica, che ho imposto alla mia mano.
E come quando si cerca di osservare non solo i moti dell’acqua, ma anche i mutamenti dettati dal vento, dalle ramificazioni emergono bolle di regolarità, forme individuabili solo attraverso un’interpretazione assolutamente soggettiva, contro i cui margini si frangono le onde del caos.
Il trittico/paravento/finestra può anche assumere una posizione chiusa, come il fiore che si nasconde al reclinare del giorno, svelando un nuovo disegno nascosto.
Il video, proiettato sul tavolino reclinato, rappresenta con discrezione l’unico elemento che si rapporta direttamente con lo scorrere del tempo.
Poco più che un apparire e scomparire di luci, richiama la ritualità antica del lavoro ad uncinetto. Disseminati, quasi nascosti, affiorano ciò che io chiamo «corpi», cifra stilistica del mio lavoro. Sono forme organiche, colte in un momento del loro divenire.
Sono tensione, germoglio, proliferazione.
E rappresentano, nella mia fantasia, uno dei possibili lucidi sviluppi della natura femminile.
La mia ambizione è quella di far sì che l’opera, che per sua natura si presenta come un cristallo sospeso dal tempo, mantenga tracce dell’irreversibilità del tempo stesso. Cosicché l’astrazione non sia capace di cancellarne totalmente le singolarità.
E di far sì che questo paradigma della natura con cui continuo a confrontarmi, instilli nell’opera una vibrazione imprevedibile, per cui ogni volta che lo sguardo vi si ripone dopo esserne stato distolto, avverta che qualche cosa gli è sfuggito.
Come quando si guardano le nuvole.
All my art work, from the beginning until today, has always had to do with nature.
A direct or indirect confrontation with it has always run through my way of thinking and consequently of making art.
If I had to be forced to summarise this obsession of mine in one word, I would say this: metamorphosis.
As Goethe wrote: ‘Nature has no system, it has life, it is life and succession from an unknown centre towards an unknown boundary’.
Nature as a release of forces, as a tension towards transformation, as a crumbling of the cages that surround the self.
But it is also an autobiographical reflection, a precise mirror of the chronicles of our existence: it is the pain of loss, of vanishing, but at the same time it is joy at being recomposed again in a new flow, in a new balance.
I am also attracted by the state of continuous bewilderment in relating to it.
The analysis of its phenomena is always imperfect and drives me to erratic wandering.
It makes the certainties of matter more friable and invites thought to displacement. After all, the root of the word ’emotion’ is associated with moving, with migration….
How many times have you wanted to get lost on a journey to discover alternative routes that would not necessarily lead you to your destination?
The world is still bound with secret knots.
The world is held together by secret forces, by a dynamic wholeness that makes me imagine a strange room in which objects are captured by invisible motions as in the eternal becoming of natural forces.
A weird vegetation has grown over them, objets trouvés that have known the affectivity of a home.
It is the fruit of one of the possible paths that an imaginary nature can take in the appropriation of what is given to it.
These ramifications, however, do not have a purely ornamental character; they modify the contours of the object, the functional and symmetrical angularities of the human artefact, just as nature, again, softens rationality.
The green of this new vegetation expresses a bursting lushness, an instant of rebirth caught in a moment of expansion and emphasised by the softness of white all around.
Not even winter has been able to resist it? Could anyone notice.
The environment is completed with a kind of backdrop. Also falsely ornamental (a sort of decorated screen), it consists of a series of canvases on which a pen drawing has been traced.
A triptych whose lines have followed erratic paths and obeyed a complexity that could be described as unpredictably essential.
No mediation of sketches or preparatory drawings, and every transformation depends on the evolution of the whole.
How would the water behave?
This was the rule, the only one, that I imposed on my hand.
And as when one tries to observe not only the movements of water, but also the changes dictated by the wind, bubbles of regularity emerge from the ramifications, forms that can only be identified through an absolutely subjective interpretation, against whose margins the waves of chaos break.
The triptych/paravent/window can also assume a closed position, like the flower that hides as the day recedes, revealing a new hidden design.
The video, projected onto the reclining table, discreetly represents the only element that relates directly to the passage of time.
Little more than an appearance and disappearance of lights, it recalls the ancient rituality of crochet work. Disseminated, almost hidden, emerge what I call ‘bodies’, the stylistic signature of my work. They are organic forms, caught in a moment of their becoming.
They are tension, budding, proliferation.
And they represent, in my imagination, one of the possible lucid developments of female nature.
My ambition is to ensure that the work, which by its nature presents itself as a crystal suspended by time, retains traces of the irreversibility of time itself. So that abstraction is not able to totally erase its singularity.
And to ensure that this paradigm of nature, with which I continue to be confronted, instils in the work an unpredictable vibration, so that every time the gaze returns to it after having been diverted from it, it feels that something has escaped it.
Like looking at clouds.